Teatro

I Lampi Accecanti di Enrico Bertolino

I Lampi Accecanti di Enrico Bertolino

Enrico Bertolino è un tipo alto bello biondo con gli occhi azzurri ed è pure spiritoso. Ma non è uno stupido, ha preferito laurearsi alla Bocconi e diventare un manager quasi di successo. Prima di salire di grado nella carriera bancaria, ha scoperto che preferiva far ridere la gente nei cabaret milanesi. E piano piano ha cambiato mestiere. La televisione lo ha ospitato tante volte, ha fatto pure un po’ di cinema e ora, al Teatro Ciakdi Milano solo fino a domenica 14 marzo, presenta Lampi accecanti di ovvietà, il suo ultimo lavoro scritto assieme ad Andrea Zalone, Carlo Giuseppe Gabardini, Luca Bottura. Ha goduto della collaborazione ai testi di Curzio Maltese, della precisa regia di Massimo Navone che ha ben usato le geometriche scene realizzate da Elisabetta Gabbioneta, sulle cui superfici sono passati i video di Piero Passaniti, utilizzati per dare vivida visione dei sogni di Enrico, che si stende sulle strutture di cui sopra con coperta e cuscino. Le luci sono di Arnaldo Ruota e aiutano a suggestionare il pubblico nel gioco dei pensieri che affiorano alla mente del protagonista unico, che ce li porge come incessanti luoghi comuni eppure, raccontati col solito tono educato dell’artista, affondano nel sarcasmo della satira. Ho parlato con lui l’indomani. E' un tipo intrigante, si rischia di conversare per ore. Sei un comico che fa ridere a crepapelle, ma si esce dal teatro con l’amaro in bocca. Lo fai apposta? E’ la teoria degli opposti estremismi. Il compito del comico è di far sorridere e mi tocca farlo; non posso fare solo teatro di denuncia e neppure solo quello leggero. Così al bivio ho imboccato una terza strada: lasciare strada alla satira politica ma dare anche spazio alle dinamiche più umane, comportamentali. Direi che serve, ho ricevuto mail di gente che dice: ‘Dopo aver visto il tuo spettacolo, ho visto la città con altri occhi e mi sono arrabbiato’. Ricordo come i delinquenti di una volta erano malviventi perché vivevano male, oggi sono farabutti, davvero. Ho dovuto consultarmi, anche con Curzio Maltese e gli altri autori, per usare al meglio le parole. C’è molta documentazione. Il teatro era pieno, pensi che tutti si divertano davvero? Forse ci sono risate differenti, forse dipende da chi vede il medesimo spettacolo. Fenomeni come Zelig hanno portato tanti contributi mentre il fenomeno inverso è stato di portare tanto teatro scremato in televisione. Il teatro offre uno spazio per tutti, ci si può andare per arrabbiarsi, per divertirsi, per portare fuori i bambini e quindi ben vengano pure tutti quanti. Se aspettiamo Bondi, moriremo di stenti. Il teatro è uno spazio di libertà, ieri sera si poteva dire di tutto mentre in televisione, ultimamente, non si può più parlare. Come ti critica il tuo pubblico? Una delle critiche è che allungo su certe cose e comprimo su altre. Ora mi dicono che parlo male della sinistra, dopo anni che mi rimproveravano di parlar male della destra. Invece, tu come la pensi? Io mi sono letto due libri che mi hanno fatto appassionare ai romanzi storici, tipo “Io Claudio” , raccontati come le Memoria di Adriano: Claudio zoppo e balbuziente, che fece persecuzioni ai cristiani però rimise a posto alcune cose e fu fatto Imperatore dopo Caligola. Direi che oggi c’è il sogno di essere come lui, questo è il sogno. Uno terribile, ma anche bravino… Come lo percepisci il mondo oggi? Davanti al parcheggio ti trovi a chiamare ‘Capo’ un cingalese solo perché devi posteggiare la macchina. Ora, se intaschi una tangente proprio davanti a Palazzo Marino, vuol dire che non te ne importa più nulla della gente. A quel punto, a chi ci si rivolge per sentire serietà? Al Gabibbo, a Striscia la notizia, a Le IeneSembri senza speranze… No! Ci sono ancora speranze, proprio nelle persone. Abbiamo subìto dominazioni di tutti, spagnoli, francesi, austro ungarici… l’Arena Civica fu fatta coi detriti di guerra dal Cagnola, ma Milano è diventata una grandissima città grazie alle persone, che hanno grandissime risorse. Invece del ‘partito dell’amore’, ci vorrebbe il ‘Partito delle Persone’. Non ti pare che sia quello che cerca di fare Beppe Grillo? Sono d’accordo con Grillo sul fatto che per entrare in politica non bisogna avere precedenti, ma i vaffanculo fanno paura. Col tono giusto puoi dire tutto, col tono sbagliato niente. Ma, al momento, neppure loro sono chiari, sarà perché si fanno le cortine funogene, ci sono troppi ammiccamenti… Conosci un partito che parli di programmi? Già. Nessuno. Se una donna non ti guarda, non è che devi chiederti perché, c’è qualcosa che non va in te? E sei vuoi fare una carriera politica, la seduzione è tutto. E’ uno strumento, mi sono riletto la storia di Nixon: come mai un uomo così impopolare fece il faccia a faccia con Kennedy. Lui allora non sapeva che l’incontro televisivo lo avrebbe fatto perdere, per via dell’importanza delle apparenze e dei modi. Adesso tutto è televisione, ma io ricordo Berlinguer con Benigni: una immagine che non scordo, in bianco e nero, è quella di Berlinguer, per la politica. Aveva un senso, un grande fascino, un carisma semplice, ci si poteva credere a uno così. Adesso, invece? E’ veramente amorevole prendere Bossi e portarlo a lavorare, con una badante. In fondo il suo partito è il più vecchio del parlamento, tutti gli altri si sono riciclati. La Lega c’è dal 1988, unico sopravvissuto alla prima repubblica e il presidio dei mercati e delle piazze ha pagato. Però esprimersi così come fa lui, ora diventa un problema imbarazzante: basta con queste allegorie, come i diecimila fucili, non ci sono nemmeno più diecimila padani, adesso. Sono tutti egiziani, marocchini: se non ti va, cambia paese tu. Ma Bossi non è stupido. Se in Olanda trionfa la destra xenofoba, per fare indignare le persone i rimbrotti vanno bene e lui cavalca questo malcontento, quindi lui è bravo. Ma io non sono in grado di fare un trattato di politica, vanto le mie origini di guitto. A proposito, come sei passato dalla banca al cabaret? Ho iniziato alla Ca’ Bianca, la vera gavetta dei cabaret dove fai scuola, vedi ai tavoli le facce delle persone che ti guardano, vedi se ridono. Hai rimpianti? Nessuna conflittualità interiore: ho fatto undici anni di banca e consulenza e tutte le cose che faccio, le faccio da convinto. La banca mi ha insegnato che ci sono gerarchie: c’era il capoufficio, potevi scriverlo sul biglietto da visita. Poi, quando stavo per essere promosso a 28 anni, con una carriera alle spalle, non sapevo più se era quello che volevo fare, ma non rimpiango nulla. Ho viaggiato molto all’estero, se non sai le lingue non sai niente. Ho vissuto in Inghilterra e ho fatto molto fatica a cavarmela. I miei colleghi mi hanno insegnato l’inglese parlandomi velocemente e ho rischiato l’ulcera perché non sapevo ordinare altro che ‘fish and chips’. Un’esperienza utile, insomma? Ho imparato a far ridere in ufficio e in banca, io cercavo sempre di far sorridere. Spesso gli straordinari venivano pagati, a volta no, eppure bisognava portare avanti gli arretrati per cui tenevo di buon umore chi si fermava oltre orario. Ero considerato uno bravo, capace umanamente, ma io volevo far crescere quei ragazzi, come in Glob, il programma su Rai3: ho tutti ragazzi giovanissimi, mi sento un po’ il loro mentore, è bello dare a dei ragazzi l’opportunità di fare carriera e, se li perdi perché crescono e vanno via da soli, poi ne trovi altri. Bello. E’ facile trovare lavoro in Rai, di questi tempi? Le redazioni oggi pullulano di raccomandati, proprio come il titolo di una trasmissione, mentre di giovani bravi ce ne sono tanti. Noi di Glob siamo alla 10° edizione e ogni volta c’è tutto da rifare, ma se resistiamo si continua ancora. In teatro hai parlato di una tua iniziativa solidale. Ce la spieghi meglio? Fino al 16 marzo c’è la possibilità di aiutare con un sms, chiamando il 45594, l’onlus ‘www.pititinga.org’. Pititinga è un paesino del nord est del Brasile, dove io e la mia compagna siamo andati in vacanza anni fa, poi ci siamo fermati là. Ci avevano proposto di investire in sicurezza, fili elettrificati, cani feroci, mura alte, dove non vedi il mare. Invece io detto “Nessun muro”, ho fatto una staccionata normale, nessun rottweiler ma due labrador e abbiamo fatto questa onlus perché vedevamo troppi bambini, non come in Africa che diventano soldati, e purtroppo là c’è il niente da fare, ma qui potrebbero avvenire espianti di organi, abusi sessuali da parte di turisti, c’è molta povertà. Prima che arrivino in Brasile queste cose ho voluto che avessero l’asilo, per cui così i bambini vengono registrati e hanno documenti, fanno sport e un posto medico. E’ più facile controllarli, così. Tutto in collaborazione con i francesi e ‘Mediafriends, la Fabbrica del Sorriso’. Le cose davvero utili si possono fare: io non sono un tipo speciale, sono normale ma, con alcune intuizioni, si possono fare cose davvero utili. E la tua compagna? Si occupa lei di questa iniziativa e sono 15 anni che stiamo insieme. Ora abbiamo una bimba di un anno, Sofia. Sto scoprendo cosa vuol dire non dormire più la notte…